Cappotto termico e costruzioni adiacenti: interviene la Cassazione

Nelle ultime settimane è oggetto di grande attenzione il previsto rimborso fiscale – pari addirittura al 110% della spesa sostenuta – per riqualificazione energetica ed antisismica degli edifici, previsto dagli artt. 119 e 121 del c.d. Decreto Rilancio (D.L. 19.05.2020, n. 34, convertito con modificazioni in Legge 17.07.2020, n. 77).

Intervenuto il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate dell’8.08.2020 (n. 283847), che disciplina le modalità con cui fruire della detrazione o con cui eventualmente cedere il credito d’imposta (a imprese costruttrici o a banche), è facilmente prevedibile un ampio ricorso di condomìni e privati a questo strumento, al fine di intervenire su immobili bisognosi di ristrutturazione.

Nell’ambito della riqualificazione energetica, tra gli interventi c.d. trainanti per il bonus 110%, in grado di assicurare il doppio salto di classe energetica dell’immobile, rientra sicuramente la realizzazione di un cappotto termico sulle facciate.

Trattandosi di un manufatto realizzato in aderenza alle pareti esterne (il cappotto può essere anche interno, ma in tal caso non genera alcuno dei problemi di cui parleremo), esso finisce per aumentare le dimensioni dell’edificio (consideriamo che i cappotti possono avere uno spessore compreso tra 10 e 30 cm). Questo può generare, da un punto di vista meramente civilistico, due ordini di problemi: 1) il venir meno del rispetto delle distanze tra edifici previste dalla normativa e 2) il rischio di sconfinamento nella proprietà altrui.

Queste due problematiche sono particolarmente sentite in contesti ad alta densità immobiliare, con edifici costruiti vicini tra loro o in aderenza, magari di altezze diverse, o confinanti con aree libere (si pensi a un piazzale) ma di proprietà altrui.

Per quanto riguarda il problema 1), ossia le distanze, è intervenuto il c.d. Decreto Efficienza Energetica (D.L. 17.07.2020, n. 73) il quale, innovando il precedente D. Lgs. n. 102/2014, all’art. 13 dispone che, nel caso d’interventi di manutenzione straordinaria, restauro e ristrutturazione edilizia, il maggior spessore delle murature esterne e degli elementi di chiusura superiori ed inferiori, necessario per ottenere una riduzione minima del 10% dei limiti di trasmittanza, non viene considerato nei computi per la determinazione dei volumi, delle altezze, delle superfici e dei rapporti di copertura. Entro i limiti di questo maggior spessore, il Decreto consente anche la deroga a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in punto di distanze minime, sia tra edifici, sia dai confini di proprietà, e di altezze massime degli edifici. Non è comunque consentito derogare alle distanze minime previste dal Codice civile.

La normativa – già in vigore seppur in attesa di conversione in Legge – è dunque eloquente nello stabilire quando un cappotto termico, il cui spessore va ad incidere sul rispetto delle distanze dai fondi vicini, può essere realizzato e quando invece occorre rinunciare all’intervento.

Cosa succede, però, nel caso 2), cioè in presenza di fondi non distanti ma adiacenti, in cui il cappotto rischia di “sconfinare”?

Appare evidente che anche poche decine di centimetri di cappotto che appoggino su proprietà altrui (o che si fermino ad una certa altezza dal suolo) costituiscono una vera e propria invasione, cui il vicino avrebbe – a prima vista – ogni diritto ad opporsi. Volendo individuare gli istituti giuridici rilevanti in casi simili, si potrebbe parlare della costituzione di una servitù o di un diritto di superficie. La casistica, però, è assai varia e non è detto che si debba rinunciare all’efficientamento energetico di un edificio a causa delle rivendicazioni del confinante.

Interessante sul punto una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. VI-2, ord. 23.07.2020 n. 15698), che si è occupata di un cappotto termico realizzato sulla facciata di un edificio condominiale confinante con il terrazzo del vicino. Il cappotto sporgeva di circa 10 cm sul terrazzo altrui, fermandosi a circa un metro di altezza dal piano di calpestio.
Ebbene, la Corte di Cassazione, ribaltando una sentenza della Corte d’Appello di Milano, ha affermato che “il proprietario non può opporsi, ai sensi dell’art. 840 c.c., comma 2, ad attività di terzi (quale, ad esempio, l’immissione di sporti) che si svolgano a profondità od altezza tali che egli non abbia interesse ad escluderle e, pertanto, ove ritenga di contestarle, è suo onere dimostrare che dette attività gli arrechino un pregiudizio economicamente apprezzabile, da intendere non in astratto, ma in concreto, avuto riguardo alle caratteristiche ed alla normale destinazione, eventualmente anche futura, del fondo, ovvero alla possibile utilizzazione di tale spazio a scopo di sopraelevazione”.

Il principio di diritto non è nuovo. In altre parole, occorre verificare che lo spessore in più sia tale da recare un pregiudizio concreto all’utilizzo del fondo altrui. L’esempio più lampante sarebbe la sporgenza di un cappotto che impedisca di sopraelevare l’immobile vicino, pregiudicandone anche il potenziale incremento di valore.

È la stessa Cassazione a richiamare i propri numerosi precedenti, tutti della Sezione II: sent. n. 4664/2018; n. 9047/2012; n. 17207/2011; n. 20129/2004; n. 12258/2002; n. 13852/2001; n. 1484/1996. Si tratta di pronunce che hanno, ad esempio, preso in esame un cornicione sporgente per circa 60 cm sulla colonna aerea della proprietà confinante, o l’occupazione dello spazio sovrastante un terrazzo ed una tettoia mediante installazione di una caldaia e dei relativi tubi di alimentazione.

In conclusione, dice la Suprema Corte, l’installazione del cappotto termico sulla facciata, che occupi parzialmente lo spazio aereo sovrastante il terrazzo altrui, non esonera il Giudice dal “valutare se, ed in che misura, sussista un concreto interesse del proprietario sottostante ad opporsi a tale, pur limitata, invasione della colonna d’aria”.

Da quanto detto è possibile trarre due ordini di conclusioni. In primo luogo, in presenza di un progetto per la realizzazione di un cappotto termico che sconfini su proprietà altrui, è sempre consigliabile confrontarsi con il vicino e trovare un accordo che – a seconda delle diverse esigenze progettuali e dello stato dei luoghi – può assumere le vesti di una semplice autorizzazione fino alla costituzione e regolamentazione di una servitù o di un diritto di superficie.

In secondo luogo, in caso di opposizione del vicino, le sue ragioni andranno valutate caso per caso e dovrà comunque essere lui a provare che lo sconfinamento del cappotto è in grado di recargli un pregiudizio concreto ed economicamente apprezzabile.

Volendo spingersi a fare un esempio, in applicazione del principio di diritto richiamato dall’ultima Cassazione, pare pienamente legittimo lo sconfinamento di 10-15 cm di cappotto realizzato su di una facciata finestrata che confina con un fabbricato adiacente di altezza inferiore. In questo caso, infatti, il maggior spessore occupa una porzione sovrastante il tetto del vicino, sul quale non deve comunque appoggiarsi. Data la finestratura della parete su cui è realizzato il cappotto, il proprietario del fabbricato adiacente non potrebbe vantare alcun diritto di sopraelevazione e, quindi, lamentare alcun concreto pregiudizio.
10 settembre 2020
                                                                                                                                                  Avv. Matteo Pica Alfieri
© Riproduzione riservata