Il c.d. Decreto Banche (D.L. n. 59/2016)

Lo scorso 3 maggio è stato emanato un Decreto Legge che contiene numerose modifiche alle procedure di esecuzione forzata e concorsuali, avendo introdotto anche alcuni nuovi istituti in materia di garanzia del credito. Si è parlato di “Decreto banche” perché le modifiche che hanno un impatto maggiore per il cittadino riguardano proprio il settore bancario, prevedendo anche alcune misure per i risparmiatori che hanno perduto il capitale investito in obbligazioni subordinate di alcuni istituti di credito.

Come già avvenuto per le modifiche che hanno interessato il processo esecutivo negli anni scorsi, l’ottica in cui si è mosso il legislatore è strettamente economica, tanto che il testo di conversione del Decreto Legge – approvato in prima lettura al Senato con voto di fiducia il 9 giugno scorso – è stato in discussione in Commissione Finanze (e non presso quella Giustizia). Il fatto è che le esecuzioni, in particolare quelle immobiliari, hanno una durata eccessiva. Basti pensare che, secondo le stime di Mediobanca Securities, in Italia le procedure hanno una durata media di più di sette anni, mentre in Austria, Germania e Polonia si chiude tutto in uno-due anni. Al tempo stesso le procedure esecutive valgono nel complesso un paio di miliardi di Euro. Si tratta di liquidità dovuta soprattutto al ceto bancario, che da una maggior speditezza dei processi potrebbe trarre risorse da immettere – almeno questo è l’auspicio – nel mercato del credito.

Cerchiamo brevemente di capire, quali novità contiene questo Decreto Legge, detto anche “Decreto di San Filippo” (dal santo del giorno di emanazione), così come modificato dal Senato in vista della sua conversione in Legge, concentrandoci per ora sulle norme più strettamente collegate al diritto bancario, tralasciando le modifiche al processo di esecuzione, che peraltro sono molto tecniche.

Il pegno non possessorio.

L’art. 1 del Decreto di San Filippo ha introdotto una nuova garanzia che può essere concessa dagli imprenditori iscritti nel registro delle imprese. Si tratta di un particolare tipo di pegno, che viene concesso mediante atto scritto e pubblicato in un apposito registro informatico tenuto dall’Agenzia delle entrate. Con questa pubblicità il pegno prende grado e diviene opponibile ai terzi e alle procedure concorsuali.

La finalità di questo nuovo istituto, che affonda le sue radici nel mondo giuridico statunitense, è quella di ampliare le garanzie che le imprese possono fornire agli istituti di credito senza sottrarre i beni dati in garanzia al ciclo produttivo.

Questo si capisce dal fatto che il pegno non possessorio può essere utilizzato solo per garantire i crediti concessi all’imprenditore inerenti alla sua attività d’impresa, siano essi crediti presenti o futuri, determinati o determinabili. Al tempo stesso i beni dati in pegno possono essere solo beni mobili non registrati destinati all’attività d’impresa, anch’essi esistenti o futuri, determinati o determinabili anche con riferimento ad una o più categorie merceologiche. Il Senato ha introdotto la possibilità di garantire anche crediti concessi ad un terzo e di vincolare anche beni immateriali come brevetti o crediti. Venendo meno la caratteristica fondamentale del pegno tradizionale, ossia lo spossessamento da parte del creditore, i beni oggetto di garanzia potranno continuare ad essere utilizzati dall’imprenditore nella sua attività.

Salvo espressa eccezione, l’imprenditore potrà anche trasformare o alienare i beni dati a pegno, perché in questo caso la garanzia si trasferisce sul risultato della trasformazione o sul corrispettivo per l’alienazione.

In caso d’inadempimento del debitore, il creditore (soprattutto le banche, come abbiamo accennato), potrà procedere alla vendita dei beni oggetto di pegno, a escutere i crediti oggetto di pegno fino a concorrenza della somma garantita, a locare i beni o addirittura ad appropriarsene, sempre fino a concorrenza della somma garantita. Il tutto previo avviso scritto al debitore e nel rispetto di particolari modalità esecutive previste dalla legge e dal contratto con cui il pegno medesimo è costituito.

Insomma, gli imprenditori avranno la possibilità di fornire maggiori garanzie per ottenere credito senza perdere il possesso dei beni inerenti l’impresa, mentre i creditori potranno contare su un nuovo istituto che dovrebbe velocizzare il recupero in caso di insolvenza.

Il patto marciano.

Tecnicamente l’art. 2 del Decreto banche parla di “Finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensivamente condizionato”, ma in altre parole il Governo ha introdotto all’interno del D. Lgs. n. 385/1993 (Testo unico bancario) un art. 48-bis che prevede proprio il patto marciano. Finora sconosciuto alla legislazione positiva e probabilmente risalente ad un’alterazione giustinianea di un testo del giurista Marciano (II-III Secolo d.C.), questo accordo permetteva al creditore insoddisfatto di appropriarsi della cosa ricevuta in garanzia, purché fosse stimata nel giusto prezzo.

In poche parole è quanto prevede anche il nuovo art. 48-bis del T.u.b., rendendo possibile che un contratto di finanziamento concesso da una banca ad un imprenditore sia garantito dal trasferimento della proprietà di un bene immobile o di un altro diritto immobiliare dell’imprenditore a favore della banca o di una società di gestione ad essa collegata. Tale trasferimento non avviene subito, ma è sospensivamente condizionato all’inadempimento dell’imprenditore-debitore.

In sostanza, se il debitore non paga per un periodo di tempo diverso a seconda del tipo di finanziamento (periodo di tempo che è stato allungato in prima lettura dal Senato e che, ad esempio, per chi ha già rimborsato l’85% del finanziamento ricevuto prevede un termine di dodici mesi dopo il mancato pagamento di tre rate, anche non consecutive), la banca può notificargli l’intenzione di avvalersi del patto. A questo punto – semplificando il più possibile anche a costo di essere giuridicamente imprecisi – il creditore chiederà al Presidente del Tribunale la nomina di un perito per la stima dell’immobile. Se il valore del bene immobile è superiore a quello del credito, la banca dovrà restituire al debitore l’eccedenza in denaro. Al momento della comunicazione della stima, o del versamento all’imprenditore della differenza nel caso in cui l’immobile valga più del credito, si avvera la condizione sospensiva e dunque la proprietà dell’immobile passa alla banca.

Questa norma si applica anche ai finanziamenti già concessi ed in fase di rinegoziazione e anche nel caso in cui l’immobile oggetto di patto marciano sia stato sottoposto ad esecuzione immobiliare. In sostanza, si tratta di una possibilità per acquisire rapidamente beni immobili da parte delle banche, ma soprattutto da parte di società di gestione immobiliare da loro istituite ad hoc, così da poterne accelerare la liquidazione rispetto alle lunghe procedure esecutive. La garanzia per il debitore risiede nella perizia di stima effettuata da un esperto nominato dal Tribunale, dunque imparziale, e dal fatto che non possono essere oggetto di patto marciano gli immobili adibiti ad abitazione principale del proprietario, del coniuge o di suoi parenti e affini entro il terzo grado.

Secondo il Ministro dell’Economia (ancora una volta a riprova della prospettiva cui si pone il legislatore quando mette mano a queste norme), l’introduzione di questo patto consentirà ai creditori di entrare in possesso dell’immobile in sette-otto mesi contro i quaranta mesi di media nazionale per le procedure di esecuzione immobiliare.

La convalida di sfratto per il rent to buy.

Interessante l’introduzione, operata con l’approvazione al Senato del testo di conversione del D.L. n. 59/2016, della possibilità per il proprietario di immobili di utilizzare il procedimento per convalida di sfratto anche nel caso in cui la locazione preveda il rent to buy. Questo particolare tipo di contratto, introdotto con il c.d. Decreto Sblocca Italia (D.L. n. 133/2014), prevede la possibilità di locare un bene immobile a un conduttore che ha anche diritto ad acquistarne la proprietà, imputando in conto prezzo i canoni pagati. La previsione della convalida di sfratto, introdotta nella fase di conversione del Decreto banche, mette fine al dibattito precedente, nato poiché, essendo il rent to buy un contratto atipico, era difficile ipotizzare un rimedio efficace e celere in caso di inadempimento del conduttore.

Le misure per i risparmiatori di Banca Etruria, CariChieti, Banca Marche e CariFerrara.

Il D.L. n. 59/2016 è soprannominato Decreto banche perché contiene anche un intervento per i risparmiatori in strumenti finanziari subordinati che hanno visto sfumare tutti i loro risparmi in seguito all’attivazione della procedura di risoluzione delle quattro banche in liquidazione lo scorso 22 novembre.

In sostanza, in via alternativa rispetto ad azioni innanzi ad un arbitro, si potrà seguire una procedura diretta con richiesta di rimborso al Fondo di Solidarietà istituito con la Legge di Stabilità 2016. Sono previsti numerosi paletti, per accedere a questa procedura.

Innanzitutto la tempistica: si potranno richiedere i rimborsi a partire da 60 giorni dopo la conversione in Legge del Decreto (dunque ad inizio luglio) ed entro sei mesi da tale data. Potranno fare richiesta i risparmiatori che avevano acquistato strumenti subordinati prima della data del 12 giugno 2014 (entrata in vigore della direttiva europea sul bail in) e che li possedevano alla data della messa in risoluzione della banca.

In secondo luogo deve sussistere una delle seguenti condizioni, autocertificate da chi propone la domanda: il risparmiatore deve avere un patrimonio mobiliare di valore inferiore a 100.000 € secondo i parametri Isee, oppure avere un reddito complessivo Irpef per il 2014 inferiore a 35.000 €.

Infine, il rimborso, essendo automatico, non sarà totale. L’investitore, infatti, potrà ottenere l’80% del corrispettivo pagato. Al netto, però, di oneri e spese sostenute, nonché della differenza, se positiva, tra il rendimento degli strumenti finanziari subordinati e il rendimento di mercato di un B.T.P. in corso di emissione di durata finanziaria equivalente oppure il rendimento ricavato tramite interpolazione lineare di B.T.P. in corso di emissione aventi durata finanziaria più vicina.

Questa procedura è alternativa e non cumulabile con quella arbitrale prevista di fronte all’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC), che però ancora non è a regime, mancando alcuni decreti attuativi. La procedura arbitrale potrà portare ad ottenere rimborsi fino al 100% del capitale investito, purché vi siano i presupposti, in particolare la violazione degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza da parte della banca.

E per Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca?

Si tratta di casi diversi, che il Decreto banche non prende in considerazione. In questo caso, per la tutela dei propri diritti, i soci-risparmiatori non potranno che valutare azioni individuali, giudiziarie o arbitrali che siano. Ci limitiamo a segnalare che accanto ad una responsabilità degli amministratori è possibile che si configuri una responsabilità dell’istituto di credito. Naturalmente, è necessario che vi siano i presupposti per poter intraprendere simili azioni, che variano in base a ciò che è accaduto a ciascun risparmiatore.