La Legge fallimentare si avvia verso la pensione

Con l’approvazione da parte del Senato, lo scorso 19 ottobre, della Legge n. 155/2017 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 30 ottobre) il legislatore ha definitivamente intrapreso il percorso verso il pensionamento del diritto fallimentare così come lo conosciamo, che con riforme più o meno profonde è giunto fino ai giorni nostri dal 1942.

La Legge delega il Governo ad adottare entro un anno i Decreti legislativi necessari a riformare in modo organico le procedure concorsuali e la disciplina della crisi da sovraindebitamento, introdotta nel 2012. Ancora, dunque, l’iter non si è concluso; probabilmente spetterà al prossimo Governo adempiere la delega, sempre che non siano disposte proroghe. In ogni caso, si tratta di un traguardo importante, dato il processo di riforma iniziato nel gennaio 2015 con la creazione da parte del Ministro della Giustizia della c.d. Commissione Rordorf (dal nome del suo presidente, il Presidente aggiunto della Corte di Cassazione dott. Renato Rordorf), in vista di una disciplina unitaria, organica e coerente dell’insolvenza.

Un percorso di riforma ritenuto necessario da più parti, dato l’anacronismo della Legge fallimentare che, seppur riformata più volte anche in maniera significativa, mantiene un ruolo sistematico centrale alla procedura di fallimento; ruolo ritenuto non più adeguato agli attuali scenari economici ed imprenditoriali. Ed è proprio per eliminare l’aura di discredito che accompagna il fallito, mutando l’approccio al concetto di crisi, da vedere come evento fisiologico che può presentarsi durante il ciclo di vita di un’impresa, che addirittura sarà rimosso dai testi normativi il termine “fallimento”. Non è un caso che negli ultimi anni gli addetti ai lavori abbiano già iniziato a parlare di “diritto della crisi d’impresa”(non più di diritto fallimentare), in un certo senso anticipando per via terminologica la riforma organica che si sta progressivamente attuando.

Si tratta di tutt’altro che di un’operazione di facciata. L’approccio alla crisi come eventuale fase del ciclo di vita dell’impresa è la realtà in ambito internazionale, cui il nostro Paese si sta allineando. In quest’ottica è dato ampio spazio alle soluzioni negoziali della crisi e che assicurino continuità aziendale (per conservare i residui valori produttivi dell’impresa), sottraendo centralità sistematica alla procedura di fallimento, che in futuro si chiamerà liquidazione giudiziale e sarà vista come un’extrema ratio.

Una tappa importante verso la riorganizzazione della disciplina è costituita dalla previsione di una procedura unitaria di accertamento dello stato di crisi (che nei Decreti legislativi dovrà trovare una definizione che fino ad oggi il legislatore non ha mai dato) e di quello d’insolvenza, che segna la volontà di riforma organica del diritto della crisi, in contrasto con gli interventi frammentati ed emergenziali degli ultimi anni. Sarà fondamentale, a questo proposito, continuare a percorrere la strada della specializzazione dei giudici, di cui la Legge delega infatti si occupa attentamente.

Dal punto di vista procedurale, la riforma amplia sia il numero dei soggetti legittimati attivi ad intraprendere la nuova procedura di accertamento (tra i quali, ad esempio, i soggetti con funzione di controllo dell’impresa), sia i destinatari, che potranno essere tutti i debitori, siano essi privati o persone giuridiche, con la sola eccezione degli enti pubblici.

La procedura di accertamento della crisi è solo uno dei punti che il Governo dovrà concretamente attuare nei prossimi mesi; vediamo per sommi capi quali sono gli altri.

Le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi

Al fine di agevolare strumenti di composizione della crisi che non passino dalla liquidazione e dal Tribunale, la Legge delega prevede l’introduzione di procedure di allerta, conosciute come early warnings nel mondo anglosassone. Si tratta di uno strumento che dovrebbe servire a garantire un intervento tempestivo nella crisi, per evitare il suo aggravarsi e garantire la conservazione dei valori produttivi.

Nel quadro delineato dalla Legge delega, l’attivazione delle procedure di allerta (che sono escluse per società quotate e grandi imprese) è rimessa al debitore o agli organi di controllo interni societari, nonché a creditori qualificati (erario ed enti previdenziali) che hanno un vero e proprio obbligo di segnalazione. Mentre questi ultimi dovranno segnalare il perdurare d’inadempimenti di rilevante importo, gli organi societari, invece, dovranno attivarsi in presenza di fondati indizi di crisi (concetto la cui definizione sarà tutta da vedere).

L’attivazione spontanea porterà alla gestione della procedura da parte di un Organismo collegiale istituito presso la Camera di Commercio (la Commissione Rordorf attribuiva questo ruolo agli Organismi di Composizione della Crisi, istituiti nel 2012) che, in modo tempestivo e riservato, cercherà di trovare una soluzione concordata con i creditori nell’arco di sei mesi. Se la procedura è invece avviata d’ufficio, sarà il giudice a convocare – in via riservata e confidenziale – il debitore, affidando ad un esperto la composizione della crisi con i creditori. Qualora questa non sia possibile e sia certificato lo stato d’insolvenza, dovrà essere data notizia al Pubblico Ministero, per aprire la fase giudiziale di accertamento dello stato d’insolvenza. In realtà, quest’ultima eventualità non era prevista dalla Commissione Rordorf che, finalizzata a ricercare soluzioni stragiudiziali alla crisi, non aveva previsto il ricorso al giudice in caso di esito negativo della procedura di allerta.

Al debitore che avvia la procedura tempestivamente è stata riconosciuta la possibilità di chiedere misure di protezione per il tempo necessario a trovare una soluzione alla crisi, come ad esempio la sospensione delle azioni esecutive. Ad esso sono anche riconosciute alcune misure premiali, sia di natura patrimoniale che di carattere penale, ad esempio con la non punibilità di alcune fattispecie fallimentari di particolare tenuità.

Accordi di ristrutturazione dei debiti, piani attestati di risanamento e convenzioni di moratoria

Per quanto riguarda questi istituti, attualmente esistenti come soluzioni negoziali non concorsuali alla crisi d’impresa, la Legge delega non opera stravolgimenti ma detta importanti integrazioni della normativa vigente.

In particolare, il Governo dovrà rimuovere la soglia del 60% dei creditori per l’approvazione degli accordi di ristrutturazione in cui il debitore non proponga la moratoria dei creditori estranei né chieda misure di protezione del proprio patrimonio. Altra importante previsione è l’estensione della disciplina di cui al vigente art. 182-septies L. fall. all’accordo di ristrutturazione non liquidatorio o alla convenzione di moratoria conclusi con creditori, anche diversi da banche e intermediari finanziari, rappresentanti almeno il 75% dei crediti di una o più categorie giuridicamente ed economicamente omogenee. Si tratta, nel caso dell’art. 182-septies L. fall., di una disciplina introdotta nel 2015 e riservata agli accordi di ristrutturazione intercorsi con banche e intermediari finanziari; disciplina che consente l’estensione degli effetti dell’accordo, a particolari condizioni, anche ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria omogenea.

Infine, è prevista l’estensione agli accordi di ristrutturazione delle misure protettive previste nel concordato preventivo, nonché la possibilità di modificare l’accordo o il piano rinnovando, però, in questo caso, le prescritte attestazioni.

Il concordato preventivo

Si tratta dell’istituto più convolto nelle riforme degli ultimi anni della Legge fallimentare, che con l’emanazione dei Decreti delegati dovrà andare incontro a un’intensa riorganizzazione. Fra le molte novità che arriveranno, vediamo quelle più significative.

Innanzitutto, il legislatore prevede la preferenza per il concordato con continuità aziendale, intendendo ricompresi nel perimetro dell’istituto sia l’affitto che la cessione d’azienda. Il concordato liquidatorio, invece, potrà essere ammesso esclusivamente in caso di apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori. Deve essere comunque assicurato il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare complessivo dei crediti chirografari.

Quella sul concordato liquidatorio era una previsione elaborata dalla Commissione Rordorf, che però era stata eliminata dal disegno di Legge delega, per poi comparire di nuovo nella versione definitiva approvata dal Parlamento. Ciò che invece è stato espunto dal progetto elaborato dalla Commissione è la possibilità di proporre la domanda di concordato da parte di creditori e terzi interessati, possibilità che secondo alcuni non avrebbe solo agevolato la definizione di situazione di crisi, ma avrebbe anche potuto prestarsi ad usi distorti e strumentali.

Altro punto della Legge delega è l’incarico al Governo a definire le modalità di accertamento della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano, nonché i relativi poteri di controllo giurisdizionale che saranno conservati in capo al Tribunale.

Con soluzione identica a quella elaborata dalla Commissione Rordorf (e diversa dal disegno di Legge, che prevedeva un’obbligatorietà tout court), la Legge delega stabilisce poi che si dovranno indicare i casi in cui è obbligatoria la suddivisione dei creditori in classi. Si avrà così una disciplina del concordato preventivo intermedia tra quella che ad oggi rappresenta una mera facoltà per il debitore ed un obbligo generalizzato, che avrebbe forse irrigidito troppo la procedura.

Importante sarà l’integrazione che il Governo dovrà operare con riferimento alla disciplina dei rapporti pendenti, con la possibilità di scioglimento da parte del commissario che dovrà essere ritenuta ammissibile solo dopo la presentazione del piano di concordato. Sarà inoltre soppressa l’adunanza dei creditori, con la previsione di modalità di voto telematiche. Sempre a proposito del voto, questo potrà essere anche “per teste”, nel caso in cui un solo creditore sia titolare di crediti di ammontare pari o superiore alla maggioranza di quelli ammessi al voto.

Inoltre, dovranno essere riordinate le fasi dell’esecuzione, dell’annullamento e della risoluzione del concordato, attualmente disciplinate da tre sole disposizioni della Legge fallimentare, in particolare con riferimento agli effetti purgativi dell’esecuzione del concordato e alla previsione della possibilità di deroga alla solidarietà passiva di cui all’art. 2560 Cod. civ. (relativo alla cessione di azienda).

Importante infine, la previsione per il concordato di società commerciali, del coordinamento con la disciplina delle azioni di responsabilità previste dal diritto societario, non esistendo ad oggi una specifica normativa per le procedure di concordato preventivo.

La procedura di liquidazione giudiziale

Ritenuta residuale, la procedura che prenderà il posto del fallimento sarà caratterizzata dal ruolo centrale del curatore, figura che vedrà ampliarsi i propri poteri ispettivi e di accertamento, unitamente alla legittimazione a promuovere un’ampia gamma di azioni di responsabilità, e per questo sarà anche destinatario di una rigida disciplina sulle incompatibilità. A proposito delle azioni esperibili dal curatore, si segnala che nella riforma il dies a quo per il computo del periodo sospetto per le azioni d’inefficacia e revocatoria è anticipato al deposito della domanda cui sia seguita l’apertura della liquidazione giudiziale.

Circa gli altri organi della procedura, si segnala che il comitato dei creditori sarà costituito solo nelle procedure più complesse, venendo per il resto sostituito da modalità di consultazione telematiche.

Di notevole rilevanza è la previsione del legislatore di escludere, nell’ambito della liquidazione, l’operatività di esecuzioni speciali e di privilegi processuali, anche fondiari. I trattamenti di favore che il legislatore ha fino ad oggi riservato a determinate categorie di creditori (si pensi alle banche) saranno dunque eliminati. La Legge delega prevede che, in ogni caso, il privilegio fondiario continuerà ad operare sino alla scadenza del secondo anno successivo a quello di entrata in vigore dell’ultimo dei Decreti legislativi di attuazione.

Il Governo dovrà poi prevedere strumenti per rendere più semplici e veloci le fasi di accertamento del passivo e di liquidazione e ripartizione dell’attivo. A tal proposito, si possono segnalare l’introduzione di forme semplificate di presentazione della domanda di ammissione al passivo, l’introduzione di preclusioni attenuate già nella fase monocratica e l’accertamento in sede concorsuale di ogni credito opposto in compensazione. Per quanto riguarda la ripartizione dell’attivo, si potrà ricorrere anche a procedure di trasparenza mediante un mercato nazionale telematico dei beni da vendere, cui si aggiungono la possibilità di acquisto di tali beni da parte di creditori abilitati e l’istituzione di appositi fondi per gestire i beni invenduti.

Di portata molto ampia è poi la delega a contenere e rendere più chiare le ipotesi di prededuzione, nonché alla revisione del sistema dei privilegi, principalmente con l’obiettivo di ridurre le ipotesi di privilegio generale e speciale, rimuovendo quelle più anacronistiche. In questo ambito, la Legge delega non scende nel dettaglio, per cui sarà compito del Governo trovare la strada più opportuna, sempre nel rispetto dello scopo finale, che è quello di garantire un trattamento realmente paritario ai creditori.

Previste dalla riforma anche la creazione d’incentivi per il concordato liquidatorio giudiziale (proposto da creditori, terzi e dallo stesso debitore) e l’assoggettamento alla procedura di liquidazione giudiziale come causa di scioglimento di diritto per le società di capitali.

Infine, saranno ampliate le ipotesi di esdebitazione, che potrà essere richiesta subito dopo la chiusura della procedura o passati tre anni dal suo inizio, con la possibilità di sua automatica applicazione in caso d’insolvenze minori.

La delega prevede anche modifiche alla disciplina della composizione della crisi da sovraindebitamento, introdotta nel 2012 e scarsamente utilizzata. In questo ambito, fra le altre cose, è prevista l’estensione della disciplina ai soci illimitatamente responsabili di società commerciali e la possibilità di consentire al debitore meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno futura, di accedere all’esdebitazione solo per una volta, fatto salvo l’obbligo di pagamento del debito entro quattro anni, laddove sopravvengano utilità.

Come si può vedere da questo lungo elenco, molte sono le novità che delineano i contorni della riforma organica della crisi d’impresa. E se alcuni aspetti sono già così chiari nella delega, tanto che hanno già dato luogo a commenti e dibattiti, altri (come ad esempio la riforma dei privilegi) potranno essere studiati solo in seguito all’intervento del Governo, chiamato ad operare in modo specifico con una certa discrezionalità.

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