Il decalogo della Cassazione sul danno non patrimoniale

La materia del risarcimento del danno non patrimoniale, in particolare del danno alla salute, è quotidianamente affrontata dai tribunali italiani, ed è andata incontro negli anni a numerosi interventi di razionalizzazione ad opera della Corte della Cassazione. Abbiamo già affrontato questa tematica, dando risalto agli orientamenti più recenti che prendono le distanze dal rigido sistema delle tabelle elaborate da alcuni tribunali.

La Sezione III della Corte di Cassazione è recentemente tornata sulla questione del danno non patrimoniale con l’ordinanza n. 7513/2018. Stavolta la Corte elabora un vero e proprio decalogo, elencando i punti cui i Giudici si devono attenere nel valutare la sussistenza del diritto al risarcimento del danno e la sua quantificazione.

La vicenda

Il caso da cui muove la Cassazione riguarda un sinistro stradale, a seguito del quale il danneggiato aveva ottenuto, in primo grado, la condanna dell’assicurazione al risarcimento del danno non patrimoniale. Tale danno era stato quantificato con riferimento alle note tabelle milanesi, cui veniva aggiunta una maggiorazione del 25 % giustificata sulla sussistenza, nel danneggiato, anche di un grave e permanente pregiudizio dinamico-relazionale.

Tuttavia, la Corte d’Appello aveva riformato la sentenza del tribunale, ritenendo non dovuta la maggiorazione del 25 % (perché il pregiudizio sarebbe stato già incluso nel danno biologico). Il danneggiato ha così proposto ricorso per Cassazione, ritenendo nulla e contraddittoria la sentenza d’appello, che non avrebbe motivato la sua decisione, soprattutto per quanto riguarda il discostamento dalla perizia del medico legale (che aveva riconosciuto la personalizzazione del danno sulla base dell’insorgenza di un pregiudizio dinamico-relazionale).

La Corte di Cassazione ha respinto questo motivo di ricorso, e nel farlo ha ripercorso i principi fondamentali ormai affermatisi in giurisprudenza sul risarcimento del danno non patrimoniale, finendo per elencare ben dieci punti che i giudici di merito dovranno rispettare nelle future decisioni.

Il decalogo

La Cassazione muove innanzitutto dal fare chiarezza su cosa si debba intendere per “danno dinamico-relazionale”. Ripercorrendo l’evoluzione della normativa che ha introdotto tale termine, con riferimento anche agli approdi della medicina legale, la Corte giunge ad affermare che “Non, dunque, che il danno alla salute “comprenda” pregiudizi dinamico-relazionali dovrà dirsi; ma piuttosto che il danno alla salute è un danno “dinamico-relazionale”. Se non avesse conseguenze “dinamico-relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.” Ne consegue che questo danno non è affatto diverso dal danno biologico. La personalizzazione, dunque, si fonda su circostanze specifiche del caso concreto, che il danneggiato dovrà allegare in giudizio.

Queste circostanze specifiche possono giustificare un aumento percentuale della stima del danno biologico non perché abbiano inciso su aspetti dinamico-relazionali, ma perché si tratta di conseguenze straordinarie, non rientranti nel pregiudizio comune alla generalità delle persone della medesima età che abbiano subito pregiudizi dello stesso grado.

Ed ecco che la Sezione III, articolandoli in dieci punti, riassume i principi di diritto in materia di danno non patrimoniale, partendo dall’assunto che di danno risarcibile esistono solo due categorie: quello patrimoniale e quello non patrimoniale; quest’ultimo, poi, costituisce una categoria giuridicamente unitaria, nel senso che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole e ad i medesimi criteri risarcitori.

Ne consegue che il giudice, nel liquidare questo tipo di danno, deve – da un lato – prendere in esame tutte le conseguenze dannose dell’illecito e – dall’altro – evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici. Da ciò l’importanza dell’istruttoria, dove si dovrà accertare in concreto l’esistenza dei pregiudizi (accertando in special modo se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito), senza procedere ad alcun automatismo risarcitorio.

La Corte precisa che costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l’attribuzione di una ulteriore somma a titolo danno dinamico-relazionale. Ciò in quanto la misura standard del risarcimento prevista dalla legge, o dalle tabelle utilizzate nei tribunali, può essere aumentata “solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari“. Invece, le conseguenze dannose che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire, non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

Da ciò l’assenza di duplicazione risarcitoria in presenza dell’attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento “dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione)”. Si tratta, in altre parole, del c.d. danno morale, che viene tenuto distinto, anche in recenti interventi normativi, da quello dinamico-relazionale.

La Cassazione conclude, infine, che anche il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati (diversi dal diritto alla salute), va liquidato allo stesso modo; tenendo conto, cioè, tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (il c.d. danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso.

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