La responsabilità del committente nella lavorazione tessile

Terzisti pratesi, questi sconosciuti. Almeno fino ad una sentenza del Giudice del Lavoro del Tribunale di Prato, dott.ssa Consani, dello scorso 11 marzo, che ha ritenuto applicabile anche all’organizzazione del lavoro del nostro distretto tessile una norma prevista all’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 (c.d. attuativo della Legge Biagi), così come riscritta dalla Legge n. 35/2012.

Cosa prevede la norma?

Testualmente, il secondo comma dell’art. 29 sopra citato prevede che, salvo deroghe previste dalla contrattazione collettiva “in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto […]”. Si tratta di una previsione speciale e maggiormente favorevole al lavoratore rispetto alla norma generale prevista nel Codice civile per il contratto di appalto (art. 1676) che limita la responsabilità solidale “fino alla concorrenza con il debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda”.

Quali erano i dubbi applicativi?

Le problematiche applicative dell’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 sono tuttora legate alla riconduzione alla responsabilità solidale solo nei confronti di quanti abbiano lavorato in un determinato appalto e per i soli crediti di lavoro da questi maturati in relazione all’esecuzione di quello specifico contratto. Ecco che questo principio non crea problemi in casi in cui l’appaltatore gestisce un contratto per volta. Nel caso dei terzisti, però, che ogni giorno effettuano lavorazioni o servizi per una molteplicità di committenti, riuscire ad attribuire a ciascun committente la quota di trattamento retributivo, per cui è responsabile in solido nei confronti del lavoratore, poteva non essere così semplice.

Cosa cambia con questa sentenza?

Si tratta del primo caso in materia in città, che ha applicato il principio della responsabilità solidale stabilendo che la retribuzione oraria può essere un corretto criterio per individuare quanto dovuto al lavoratore nello svolgimento di un determinato appalto. Individuando dai prospetti quante siano le ore lavorate per ciascun committente è possibile applicare l’art. 29 del D. Lgs n. 276/2003 anche al meccanismo delle lavorazioni tessili.

Dunque tutto bene?

Sicuramente la sentenza del Tribunale di Prato apre nuovi scenari per il panorama imprenditoriale cittadino, con le imprese chiamate a scegliere con maggior attenzione i propri appaltatori per evitare di dover rispondere dei loro debiti. Soprattutto, saranno i lavoratori ad avere maggiori garanzie di ottenere quanto di loro spettanza dal punto di vista retributivo e previdenziale. Questo, naturalmente, in via di prima approssimazione. Ogni caso concreto, infatti, deve essere studiato con attenzione prima di ricorrere in giudizio, posta la possibilità di deroga alla normativa da parte dei Contratti collettivi, la facoltà del committente di eccepire il beneficio di escussione dell’appaltatore e la prescrizione biennale decorrente dalla cessazione dell’appalto.