Il danno non patrimoniale tra sistema tabellare e tendenze giurisprudenziali

Il recente consolidamento di un filone giurisprudenziale della Sezione III della Corte di Cassazione, unitamente a recenti provvedimenti in discussione in Parlamento, ci hanno offerto lo spunto per parlare di alcune problematiche che da anni coinvolgono il danno non patrimoniale ed il suo risarcimento, ripercorrendo alcuni passaggi fondamentali fino alla situazione attuale.

Le plurime voci di danno e il pericolo di duplicazioni risarcitorie: le Sezioni Unite e le tabelle

I danni che una persona ha subìto da un fatto illecito altrui possono incidere a più livelli nella sua sfera personale. Che sia stata vittima di un reato, o abbia subito una menomazione fisica, la vita di una persona può rimanere profondamente segnata da eventi cagionati da condotte altrui, con la conseguente necessità di ottenere un risarcimento per la sofferenza patita. Quelli di cui si parla in questo caso sono danni non patrimoniali, che non comportano una diminuzione delle sostanze del danneggiato, ma provocano una lesione non immediatamente convertibile in un valore monetario.

Le molteplici dimensioni che caratterizzano la vita delle persone hanno portato all’elaborazione di plurime voci di danno non patrimoniale, come ad esempio il danno biologico, esistenziale o morale. Ciascuna identifica la lesione di uno specifico ambito della vita, con la necessità di stabilire le modalità per la quantificazione di ciascuna voce. La degenerazione di tale sistema aveva portato spesso, però, a duplicazioni risarcitorie, nel senso che una medesima conseguenza dannosa veniva risarcita più volte solo perché, in un certo senso, le si cambiava etichetta.

Per questo era intervenuta un’importante presa di posizione da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, nel 2008 (anno delle c.d. sentenze gemelle di S. Martino: Cass. civ., Sez. Un., sentt. n. da 26972 a 26975/2008), avevano affermato la natura unitaria e onnicomprensiva del danno non patrimoniale, finalizzata anche ad evitare duplicazioni risarcitorie attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici. Al tempo stesso, con le medesime sentenze, si era affermato il principio per cui fosse necessario superare la c.d. soglia di risarcibilità, sotto cui il danno è da considerarsi bagatellare e non meritevole di risarcimento.

A queste pronunce si era andata via via adeguando gran parte della giurisprudenza successiva, producendo talvolta un indiretto appiattimento – da alcuni giudicato eccessivo – su di un sistema risarcitorio basato sulle tabelle elaborate da alcuni Tribunali italiani.

Come accennato, infatti, il danno non patrimoniale necessita di essere valutato economicamente e convertito in denaro, per poi essere risarcito. Alcuni Tribunali (in particolare Milano e Roma) avevano sviluppato in sistema di tabelle che tenessero conto dell’età della persona al momento del danno e delle percentuali d’invalidità attribuite dalle valutazioni medico-legali, per poi tradurre il tutto in valori economici. Si tratta di un sistema incentrato sul danno biologico, applicabile con apposite personalizzazioni anche ai danni morali ed esistenziali. A partire dal 2011, la Cassazione aveva poi affermato più volte che le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano sono applicabili su tutto il territorio nazionale.

L’interpretazione delle Sezioni Unite del 2008, con l’applicazione di tabelle fondate sulle percentuali del danno biologico, aveva finito per privare di autonomia ontologica le voci di danno morale ed esistenziale (divenute semplici categorie descrittive), ricomprese all’interno dell’unitaria categoria del danno non patrimoniale e risarcite tramite la personalizzazione del danno biologico in base ai calcoli tabellari.

La giurisprudenza sull’autonomia del danno esistenziale

A dispetto di queste importanti prese di posizione, il sistema del danno non patrimoniale non riusciva a trovare un assetto stabile e definitivo.

Da un lato, infatti, si riscontrava la resistenza di alcuni Tribunali (in particolare Roma) nell’utilizzare le tabelle milanesi (con il rischio di una forte differenziazione nel risarcimento a seconda del Foro in cui si proponeva la domanda), dall’altro alcune pronunce della Suprema Corte si discostavano parzialmente dalla ricostruzione delle Sezioni Unite del 2008, riportando in auge, come categoria ontologicamente autonoma e dunque autonomamente risarcibile, il danno esistenziale.

Ad esempio, era il caso di Cass. civ., Sez. III, sent. n. 531/2014, secondo cui “la mancanza di danno biologico non esclude la configurabilità del danno morale soggettivo e di quello dinamico-relazionale, quale conseguenza autonoma della lesione e pertanto, ove il fatto lesivo abbia profondamente alterato il complesso assetto dei rapporti personali all’interno della famiglia, il danno non patrimoniale per lesione di interessi costituzionalmente protetti deve trovare ristoro nella tutela apprestata dall’art. 2059 cod. civ.”. Conforme anche la successiva Cass. civ., Sez. III, sent. n. 18611/2015, che, nel cassare una sentenza d’appello che non aveva riconosciuto autonoma valutazione al danno esistenziale, affermava che “non si tratta di una duplicazione di voci di danno, ma della negazione del diritto del macroleso a ricevere un equo ristoro per il risarcimento della perdita della sua dignità di persona e di diritto alla vita attiva”.

In questo complicato (e importantissimo, dato che incide sul diritto dei danneggiati ad ottenere un adeguato risarcimento) quadro, si sono inserite due recenti novità: la prima legislativa, la seconda giurisprudenziale.

Il disegno di Legge in discussione in Parlamento

Dal punto di vista legislativo, lo scorso 21 marzo la Camera dei Deputati ha approvato in prima lettura il disegno di Legge n. 1063-A recante “Modifiche alle disposizioni per l’attuazione del codice civile in materia di determinazione e risarcimento del danno non patrimoniale”. Con questa normativa s’introdurrebbe l’art. 84-bis disp. att. c.c., con la previsione di utilizzare le Tabelle del Tribunale di Milano sia per il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica, sia del danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto di tipo familiare. Sarebbe inoltre prevista la possibilità di aumentare il risarcimento del 50% in base alle condizioni soggettive del danneggiato.

La recente giurisprudenza della Sezione III che rifugge gli automatismi risarcitori

Circa l’evoluzione giurisprudenziale, nel corso del 2016 sono intervenute una serie di pronunce che tendono a marginalizzare la liquidazione del danno tramite tabelle, in favore di una maggior attenzione al caso concreto e alla sofferenza patita dal danneggiato.

In questo senso, la sentenza più significativa è senz’altro Cass. civ., Sez. III, sent. n. 7766/2016, (relatore dott. Travaglino), che – inserendosi nel solco tracciato dal medesimo relatore con precedenti pronunce – ha stabilito l’autonomia ontologica del danno morale.

Ad onor del vero, si tratta di un arresto che non giunge isolato, posto che molteplici erano state le voci, in parziale disaccordo con le sentenze del 2008, che avevano parlato dell’autonoma sussistenza del pregiudizio morale. Si vedano ad esempio, per citare pronunce con relatori diversi dal dott. Travaglino, Cass. civ., Sez. III, sent. n. 11701/2009 e Cass. civ., Sez. III, sent. n. 5770/2010. In quest’ultima pronuncia si affermava l’impossibilità di quantificare la sofferenza morale come una percentuale del danno biologico, rifuggendo gli automatismi risarcitori imposti dalle tabelle, il tutto per “rendere la somma liquidata adeguata al particolare caso concreto ed evitare che la stessa rappresenti un simulacro di risarcimento”.

La pronuncia n. 7766/2016 compie un ragionamento articolato sul quale vale la pena di soffermarsi, riportandone anche ampi passaggi, per giungere ad affermare che danno morale e danno esistenziale sono “i due autentici momenti essenziali della sofferenza dell’individuo.

Riprendendo la sentenza n. 235/2014 delle Corte costituzionale, la Sezione III della Cassazione afferma che, al di fuori del circoscritto ambito delle lesioni c.d. micro-permanenti, l’aumento personalizzato del danno biologico è circoscritto agli aspetti dinamico relazionali (c.d. danno esistenziale) della vita del soggetto in relazione alle allegazioni e alle prove specificamente addotte, senza che si possa parlare di duplicazione risarcitoria.

Al tempo stesso, secondo la Cassazione, una diversa indagine andrà compiuta in relazione alla patita sofferenza interiore, ossia al danno morale, senza che alcun automatismo risarcitorio sia predicabile. Quindi “Ogni vulnus arrecato ad un interesse tutelato dalla Carta costituzionale si caratterizza, pertanto, per la sua doppia dimensione del danno relazione/proiezione esterna dell’essere, e del danno morale/interiorizzazione intimistica della sofferenza”.

Il Giudice chiamato a valutare e quantificare il risarcimento del danno non patrimoniale dovrà, allora, tenere conto della prova della sofferenza patita dal danneggiato, facendo riferimento alle sue condizioni soggettive e potendo anche ricorrere a presunzioni e a fatti notori, se del caso in via esclusiva, come del resto era già stato affermato dalle Sezioni Unite del 2008.

Insomma, se al danno esistenziale sembra riconosciuta un’autonomia e una quantificazione attraverso la personalizzazione effettuabile con i calcoli tabellari, anche il danno morale merita un risarcimento ad hoc, sganciato da rigidi calcoli. Interessante quanto affermato dal dott. Travaglino nella sentenza n. 7766/2016: “al di là delle sterili diatribe terminologiche, sarebbe sufficiente al giudice (a qualsiasi giudice) dismettere il supponente abito di peritus peritorum ed ascoltare la concorde voce della scienza psicologica, psichiatrica, psicoanalitica, che comunemente insegna, nell’occuparsi dell’essere umano, che ogni individuo è, al tempo stesso, relazione con se stesso e rapporto con tutto ciò che rappresenta “altro da se”, secondo dinamiche chiaramente differenziate tra loro, se è vero come è vero che un evento destinato ad incidere sulla vita di un soggetto può (e viceversa potrebbe non) cagionarne conseguenze sia di tipo interiore (non a caso, rispetto al dolore dell’anima, la scienza psichiatrica discorre di resilienza), sia di tipo relazionale, ontologicamente differenziate le une dalle altre, non sovrapponibili sul piano fenomenologico, necessariamente indagabili, caso per caso, quanto alla loro concreta (e non automatica) predicabilità e conseguente risarcibilità.

E tali conseguenze non sono mai catalogabili secondo universali automatismi, poiché non esiste una tabella universale della sofferenza umana.

È questo il compito cui è chiamato il giudice della responsabilità civile, che non può mai essere il giudice degli automatismi matematici ovvero delle super-categorie giuridiche quando la dimensione del giuridico finisce per tradire apertamente la fenomenologia della sofferenza.”.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche le successive sentenze, sempre della Sezione III (relatore dott. Scarano), nn. 21058 e 21059/2016. Nel primo caso, sempre con riferimento al danno morale, si è affermata l’esclusione di una liquidazione affidata a meccanismi semplificativi di tipo automatico, ritenendo errato il ricorrere a frazioni dell’importo liquidato a titolo di danno biologico. Nel secondo caso, invece, si è cassata la sentenza d’appello perché non aveva liquidato il danno esistenziale.

In entrambe queste sentenze la Corte ha sottolineato che, al fine di stabilire se il risarcimento sia stato duplicato ovvero sia stato erroneamente sottostimato, rileva non già il nome (biologico, morale o esistenziale) assegnato dal giudice al pregiudizio lamentato, ma unicamente il concreto pregiudizio preso in esame nel processo. Si ha, pertanto, duplicazione di risarcimento solo quando il medesimo pregiudizio sia stato liquidato due volte, sebbene con l’uso di nomi diversi. Infatti, è compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio subìto, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative si siano verificate sulla persona, e provvedendo al relativo integrale ristoro.

In conclusione, è possibile affermare che il sistema del risarcimento del danno non patrimoniale conosce tuttora una forte tensione, data da spinte contrapposte. Da un lato, infatti, si afferma l’importanza dell’utilizzo di tabelle unitarie su tutto il territorio nazionale, dall’altro si rifuggono le semplificazioni risarcitorie e si riscopre la complessità del danno alla persona, imponendone il risarcimento sì unitario e onnicomprensivo, ma tenendo conto delle molteplici lesioni che possono essere provocate all’individuo nel caso concreto.