La primavera scorsa, il Parlamento ha approvato la L. n. 76/2016 (c.d. Legge Cirinnà, dal nome della sua relatrice) disciplinante le unioni civili e le convivenze, realizzando quella che alcuni osservatori hanno definito come la più radicale riforma del diritto di famiglia italiano dal 1975. In un unico articolo composto di 69 commi (ormai le Leggi non vengono più scritte bene come un tempo), il recente intervento disciplina da un lato le unioni civili tra persone dello stesso sesso e dall’altro le convivenze di fatto che possono essere indifferentemente omosessuali o eterosessuali.
Lo scorso 28 luglio, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.P.C.M. n. 144/2016, cioè del “Regolamento recante disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell’archivio dello stato civile, ai sensi dell’articolo 1, comma 34, della legge 20 maggio 2016, n. 76”, che fra le altre cose ha previsto l’istituzione del registro provvisorio delle unioni civili presso ciascun Comune, le unioni civili sono divenute (finalmente) realtà nel nostro ordinamento.
Come costituire un’unione civile.
Per la costituzione di un’unione civile due persone maggiorenni dello stesso sesso non devono fare altro che prendere un appuntamento con l’Ufficio di stato civile del proprio Comune, al fine di presentare un’apposita richiesta congiunta; richiesta che, ad esempio, il Comune di Prato prevede su modulistica già predisposta. In seguito alla richiesta, l’Ufficio ha 15 giorni per procedere alle verifiche e alle eventuali rettifiche o integrazioni della documentazione. Dopodiché, come avviene in un matrimonio celebrato con rito civile, nel giorno fissato le parti si presenteranno innanzi all’ufficiale di stato civile per rendere, personalmente e congiuntamente ed alla presenza di due testimoni, la dichiarazione di voler costituire tra loro l’unione civile. Questa dichiarazione, ai sensi del regolamento attuativo della L. n. 76/2016, deve contenere i dati anagrafici delle parti e l’indicazione dell’assenza di cause ostative all’unione (previste ai commi 4 e 5, che a loro volte richiamano le cause ostative al matrimonio).
Ricevuta la dichiarazione, l’ufficiale di stato civile redigerà il verbale, sottoscritto dalle parti e dai testimoni, nel quale è fatta menzione dei principali diritti e doveri derivanti dalla costituzione dell’unione civile. Sempre nella dichiarazione le parti potranno scegliere il regime patrimoniale della separazione dei beni (il comma 13 della L. Cirinnà prevede infatti che la regola sia la comunione dei beni) ed indicare il cognome comune che hanno stabilito di assumere per l’intera durata dell’unione. La parte può anche dichiarare all’ufficiale di stato civile di voler anteporre o posporre il proprio cognome, se diverso, a quello comune (cfr. comma 10).
Una volta resa la dichiarazione, gli uffici anagrafici procederanno all’annotazione nell’atto di nascita e all’aggiornamento della scheda anagrafica degli “uniti civilmente” (è questa, infatti, la terminologia ufficiale prevista dal regolamento attuativo del 28 luglio, che potrà comparire nei documenti in cui è prevista l’indicazione dello stato civile). Nei 15 giorni successivi, l’ufficiale di stato civile procederà alla verifica dell’esattezza delle dichiarazioni rese e successivamente rilascerà il documento attestante la costituzione dell’unione di cui al comma 9 della Legge Cirinnà.
Per quanto riguarda la situazione specifica del Comune di Prato, i costi dell’unione e le modalità di uso delle sale per la sua celebrazione sono i medesimi di quelli di un matrimonio.
Quali diritti e quali doveri per gli uniti civilmente?
Le unioni civili assomigliano molto ad un matrimonio tra persone dello stesso sesso; del resto, proprio in ciò si trova il fondamento dell’avversione nutrita per la c.d. Legge Cirinnà da parte di alcune forze politiche e religiose. Ad esempio, in tutto e per tutto simili al matrimonio sono le cause ostative alla costituzione delle unioni civili e la loro eventuale impugnazione (cfr. commi da 4 a 8). Anche i diritti e i doveri che scaturiscono dall’unione civile sono modellati su quelli nascenti dal matrimonio, seppur con alcune eccezioni. Ad esempio, i commi 11 e 12 sembrano riportare il contenuto degli artt. 143 e 144 c.c., tuttavia omettendo il dovere di fedeltà. Gli uniti civilmente hanno così l’obbligo reciproco alla coabitazione e all’assistenza morale e materiale, ma non quello di fedeltà. Questa scelta del legislatore è piuttosto discutibile, tanto che c’è chi ha sostenuto provocatoriamente che l’impressione sia quella che le coppie eterosessuali non sappiano cosa sia l’unicità del partner.
Circa gli altri aspetti, avendo già accennato al regime patrimoniale, vale la pena segnalare il comma 14, che estende alle unioni civili i provvedimenti di protezione contro gli abusi familiari (di cui agli artt. 342-bis e 342-ter c.c.), ed i commi 19, 20 e 21. Il primo rende applicabili alle unioni tra persone dello stesso sesso alcune disposizioni del Codice civile, tra cui quelle sugli alimenti. Il comma 20 contiene una regola interpretativa di carattere antidiscriminatorio, prevedendo che alle parti dell’unione civile si applicano le disposizioni riferite al matrimonio e ai coniugi contenute in leggi speciali, regolamenti, atti amministrativi e in contratti collettivi. Dal richiamo rimangono fuori le norme del Codice civile non espressamente richiamate e quelle contenute nella Legge sull’adozione (L. n. 184/1983). Infine, il comma 21 estende agli uniti civilmente quasi tutti i diritti successori, non richiamando, però, le disposizioni sulla successione testamentaria.
Interessanti, infine, i commi da 22 a 25 che prevedono lo scioglimento dell’unione civile senza passare attraverso l’istituto della separazione, giudiziale o consensuale che sia. In altre parole, qualora ne sussistano i presupposti, gli uniti civilmente possono divorziare subito, seguendo le procedure giudiziali o di negoziazione assistita previste dalla legge.
La disciplina delle convivenze di fatto.
Dal comma 36 in poi, l’art. della L. n. 76/2016 provvede a disciplinare le convivenze di fatto. I conviventi di fatto sono definiti dalla legge come “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”. La stabilità del rapporto per dare luogo ad una convivenza era stata da tempo analizzata e definita dalla giurisprudenza, che era giunta a fornire alcune tutele anche alla c.d. famiglia di fatto. Interessante notare che la lettera della nuova legge esclude dal suo ambito applicativo le coppie separate ma conviventi (o nuove coppie di cui uno dei due componenti sia separato), dato che la separazione non fa venire meno il vincolo matrimoniale.
Diversamente da ciò che avviene per matrimonio e unioni civili, le convivenze non hanno come presupposto una registrazione ma solo una dichiarazione all’anagrafe (simile a quella di residenza) che ha come finalità solo quella di provare l’esistenza della convivenza, non di costituirla.
La L. n. 76/2016, nei commi da 38 a 49 dell’art. 1, mette nero su bianco i diritti che spettano a ciascun convivente, alcuni dei quali erano stati riconosciuti precedentemente solo grazie all’intervento dei giudici. Così, ad esempio, si prevede che il convivente sia assimilato al coniuge per quanto riguarda la regolamentazione dei colloqui nelle carceri, oppure che ciascun partner abbia diritto di visita, assistenza e accesso alle informazioni personali in caso di ricovero ospedaliero. Si prevede anche la facoltà di designare il proprio partner come rappresentante per l’assunzione di decisioni in materia di salute e per le scelte sulla donazione di organi. Inoltre, sono previsti alcuni diritti relativi alla casa di abitazione: in caso di morte del proprietario della casa di residenza comune, il convivente può continuare ad abitarvi per un periodo che va da 2 a 5 anni, così come è prevista la possibilità di succedere nel contratto di locazione alla morte o recesso del proprio partner che era conduttore. Ancora, la convivenza è titolo di preferenza (al pari dell’appartenenza al nucleo familiare) per l’inserimento nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi popolari. È stato poi introdotto un nuovo art. 230-ter c.c. che disciplina i diritti del convivente nell’impresa del partner, vincendo la resistenza della giurisprudenza che non riteneva possibile l’applicazione analogica alle convivenze di fatto della disciplina dell’impresa familiare. Sono anche previste alcune disposizioni di raccordo in materia di interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno ed è stata stabilita per legge la possibilità di riconoscere al convivente di fatto il risarcimento del danno patito per la morte del compagno/a. Anche in quest’ultimo caso, si tratta dell’affermazione di un principio già raggiunto in giurisprudenza, che non lasciava prive di tutela risarcitoria le convivenze stabili, anche tra persone dello stesso sesso (cfr. Cass. civ., Sez. III, sent. n. 7128/2013 e Trib. Milano, sent. 12.09.2011). Il comma 65, infine, prevede il diritto agli alimenti in caso di cessazione della convivenza di fatto, per quello dei partner che si trovi in stato di bisogno.
I contratti di convivenza.
L’aspetto più innovativo della c.d. Legge Cirinnà in materia di convivenze risiede senza dubbio nella possibilità per i conviventi di poter disciplinare i reciproci rapporti patrimoniali mediante un contratto (cfr. commi da 50 a 63), avente forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, da un notaio o da un avvocato. Questo dovrà poi essere trasmesso all’anagrafe per la relativa iscrizione. Il contratto di convivenza si pone dunque come strumento per fissare una serie di obblighi reciproci, destinati a organizzare la vita in comune dei conviventi.
Circa il suo contenuto, la Legge è chiara nello stabilire che esso può essere relativo alla residenza, alle modalità di contribuzione della vita in comune e al regime patrimoniale della comunione dei beni. Non possono essere previste condizioni o termini e nulla viene detto sulla possibilità di regolamentare i rapporti riguardanti la cessazione della convivenza. In altre parole, il legislatore ha tipizzato una forma contrattuale che era già emersa nella prassi, al fine di disciplinare rapporti patrimoniali tra soggetti non sposati, spesso anche attraverso l’utilizzo di contratti tipici o socialmente tipici (ad esempio il comodato o il contratto di mantenimento).
Sono inoltre stati previsti casi specifici di nullità insanabile (cfr. comma 57) per i contratti di convivenza e viene stabilito che essi possano sciogliersi per accordo delle parti, recesso unilaterale, matrimonio o unione civile tra i conviventi (o tra un convivente ed un’altra persona) o morte di uno dei due contraenti. Se il contratto di convivenza prevedeva la comunione dei beni, la sua risoluzione comporta che lo scioglimento della comunione seguirà le regole generali previste dal Codice civile. Sono infine previsti obblighi di notifica all’altra parte in ogni caso di scioglimento del contratto per cause unilaterali.