Due recenti decisioni in materia di locazione

Il contratto di locazione, disciplinato dagli artt. 1571 e ss. del Cod. civ., e dalle Leggi n. 392/1978, n. 431/1998 e n. 158/2008, è indubbiamente uno dei tipi più diffusi nella realtà economica di tutti i giorni. Sebbene le disposizioni normative che disciplinano la locazione siano molte, la casistica che ne scaturisce è talmente varia che l’interpretazione della giurisprudenza diviene uno strumento inevitabile e prezioso per risolvere molte problematiche concrete. Di seguito proponiamo due sentenze che affermano concetti da tenere in grande considerazione nello svolgimento di un rapporto locatizio.

Il contratto verbale e il canone di locazione in nero

Tra le obbligazioni principali del conduttore, l’art. 1587 Cod. civ. individua quella di pagare il corrispettivo al locatore nei termini convenuti. Al tempo stesso è previsto un requisito di forma scritta nelle locazioni che hanno ad oggetto immobili ad uso abitativo, ai sensi dell’art. 1 della L. n. 431/1998. Che succede quando il canone non è interamente previsto all’interno del contratto, perché magari al locatore è sembrato fiscalmente conveniente intascarne una parte in nero, o perché – sempre in nero – il canone è stato aumentato in seguito? Questa eccedenza potrebbe essere oggetto di un contratto verbale; anche la locazione di una porzione di un immobile, però, potrebbe essere pattuita verbalmente – e dunque con un canone separato – sempre per ragioni fiscali.

Con sentenza n. 20395/2016, la Sezione III della Corte di Cassazione si è pronunciata sul punto, stabilendo che il conduttore non è tenuto a pagare la parte di canone che eccede quello pattuito nel contratto scritto, e dunque oggetto di un mero accordo verbale.

La causa era nata con l’intimazione di sfratto per morosità in relazione ad una parte di compendio immobiliare che il locatore riteneva aver concesso al conduttore in seguito ad accordo verbale. Il medesimo accordo verbale prevedeva il canone di locazione che l’inquilino aveva iniziato a non pagare. Quest’ultimo, opponendosi allo sfratto, aveva chiesto la restituzione dei canoni pagati fino al momento dell’avvenuta morosità in forza di quel contratto verbale. In altre parole, una parte di denaro era stata pagata in nero fino a una certa data; da quando l’inquilino ha smesso di pagare il locatore ha avanzato pretese sulla base di un presunto accordo verbale.

La Corte di Cassazione ha confermato le sentenze di primo grado e di appello che hanno dato torto al padrone di casa, obbligandolo alla restituzione di quanto percepito al di fuori degli accordi contenuti nel contratto scritto.

Per dovere di completezza, bisogna sottolineare che il principio stabilito dalla Corte aveva già trovato accoglimento nella Legge n. 208/2015 (Legge di Stabilità 2016), la quale con l’art. 1, comma 59, aveva sostituito l’art. 13 della L. n. 431/1998, stabilendo la nullità di ogni patto volto a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato. In questi casi, la Legge accorda al conduttore la possibilità di agire in giudizio nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile, al fine di chiedere la restituzione delle somme versate in eccedenza.

La normativa non poteva essere, ratione temporis, presa in considerazione dalla Corte di Cassazione nella sentenza sopra citata, posto che il ricorso era del 2013. Appare evidente, però, la direzione intrapresa da legislatore e giurisprudenza nei confronti di accordi volti ad eludere la normativa fiscale.

I vizi dell’immobile e la riduzione del canone

Altro punto fermo in giurisprudenza riguarda i rimedi per il conduttore che lamenti vizi della cosa tali da diminuirne in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito. La normativa codicistica prevede, all’art. 1578 Cod. civ., che l’inquilino possa chiedere la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo.

Il Tribunale di Milano, Sez. XIII, con sentenza n. 12427/2016 ha ribadito come la possibilità di riduzione del canone di locazione debba essere oggetto di domanda giudiziale e non costituisca un diritto del conduttore di fronte a gravi vizi che diminuiscano il godimento del bene locato, anche se derivano da fatti del locatore. La questione riguardava una società che aveva proposto opposizione a decreto ingiuntivo nei confronti del locatore, ritenendo parte dei canoni non dovuti a causa di infiltrazioni d’acqua e allagamenti che rendevano inservibile parte del capannone detenuto in locazione.

Il Tribunale, sposando una tesi consolidata in giurisprudenza (si veda ad es. Cass. civ., Sez. III, sent. n. 19897/2016), ha affermato che l’auto-riduzione del canone di locazione costituisce sempre atto arbitrario e illegittimo, che rende il conduttore inadempiente, anche nel caso in cui egli abbia tenuto il proprio comportamento per applicare l’art. 1578 Cod. civ. Infatti, la riduzione totale o parziale del pagamento del canone è legittima solo quando i vizi della cosa locata comportino un impedimento totale al godimento del bene locato da parte del conduttore, e quindi sia venuta integralmente meno la controprestazione del locatore.

Del resto, l’esplicita previsione contenuta nell’art. 1578 Cod. civ., che dà la possibilità al conduttore di agire in giudizio, trova la propria ratio nel fatto che solo il giudice viene ritenuto in grado di valutare l’importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti, disponendo nel caso la riduzione del canone.

In ossequio a tali principi, il Tribunale di Milano – pur avendo rinvenuto nell’immobile locato gravi vizi – ha riconosciuto il diritto del conduttore a non pagare i canoni solo per il periodo successivo all’introduzione dell’opposizione a decreto ingiuntivo, e non per quello precedente.